La trama, a raccontarla, sembra perfetta per un horror: un giorno, di punto in bianco, i morti cominciano a ricomparire sulla terra, esattamente lì dove le loro vite si erano interrotte. Non hanno cattive intenzioni, almeno all’inizio, anzi, il loro arrivo è una festa: la morte è sconfitta, è sconfitto il dolore del lutto, non esiste più fine e ognuno si prepara a riabbracciare gli amori, i genitori, i figli perduti.
Solo che presto appare chiaro che a tornare sono tutti i morti. Di tutto il mondo, di tutti i tempi. Arrivano dall'Ottocento, dal Rinascimento, dalla Preistoria oppure solo da ieri. Qualcuno può ancora incontrare i propri figli, magari brutalmente invecchiati, qualcuno non ha neppure idea di cosa sia la civiltà. È un esercito deciso a prendersi spazio, cibo, risorse. E allora, tra i vivi e ritornati, si scatena una vera e propria guerra.
Il «ritorno» raccontato da Papi, però, è lontano anni luce dai cliché della narrativa e del cinema «di genere» sui morti-viventi.
Scrive Buttafuoco su Repubblica: «I morti di Papi si riprendono i propri luoghi e le proprie case, salutano i propri cari e quasi non c'è spavento, anzi: hanno polpa viva, più di quanta ne abbiano i vivi. Non sono zombie, non hanno sudari e dalla loro bocca non escono i vermi della decomposizione, ma fiori odorosi di vita nuova».
Sono uguali a noi in tutto e per tutto, tornano al mondo nudi come neonati, e dei neonati hanno la stessa fame, la stessa voracità, lo stesso bisogno di prendere tutto senza dare nulla. I morti di Papi sono, a tutti gli effetti, di nuovo vivi, e vivere è l’obiettivo al quale non intendono rinunciare, per nulla al mondo.
Adriano Karaianni è il medico che ha scoperto il primo rinato. La sua storia con Maria è ancora giovane, ma lei aspetta un bambino da lui, proprio adesso che nascere, far nascere, è diventato un delitto. La loro storia fa da controcanto alla battaglia che l’umanità deve combattere per la sopravvivenza.
Con una lingua nitida e un ritmo serratissimo, Giacomo Papi ci consegna un romanzo che ha sì il passo avvincente dell’azione, ma è al contempo una riflessione sentita e complessa sul senso stesso dell’esistenza, sul legame profondo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e sull’amore, che si rivela l’unica forza capace di farci restare umani.